
Pietro Ellero (Cordenons 1833 – Roma 1933), friulano di origine, si laureò in legge all’Università di Padova nel 1858. Nello stesso anno consegnò alle stampe la sua tesi di laurea, Della pena capitale, vero e proprio manifesto per l’abolizione della pena di morte e per la quale venne incriminato dal governo del Regno Lombardo-Veneto.
Quando, l’anno successivo, il procedimento venne archiviato «per ossequiata volontà sovrana», Ellero decise di espatriare prima a Torino e poi a Milano, ove nel 1860 gli venne assegnata la cattedra di Filosofia del diritto presso l’Accademia scientifico-letteraria. L’anno successivo ottenne l’insegnamento di Diritto penale a Bologna e fondò il «Giornale per l’abolizione della pena di morte», che diresse fino alla sua chiusura e dove riuscì a coinvolgere numerosi penalisti e pensatori italiani e stranieri.
Nel 1868 fondò una nuova rivista, l’«Archivio Giuridico», di cui abbandonò la direzione l’anno successivo, in seguito alla morte della moglie.
Nel 1880, dopo vent’anni di insegnamento, divenne magistrato, prima presso la Corte di cassazione di Roma poi al Consiglio di Stato.
Dopo una breve e travagliata parentesi politica che lo vide una prima volta eletto nel 1866 nel collegio di Pordenone, Aviano e Sacile e una infruttuosa candidatura nel 1883 nella II circoscrizione provinciale di Padova, nel 1889 venne nominato senatore del Regno. Negli anni rimase costante il suo rapporto di collaborazione con le numerose commissioni legislative e di studio cui prese parte.
Morì a Roma il 1° febbraio 1933, quasi centenario.
Nacque l’8 ottobre a Cordenons, presso Pordenone, nel Lombardo-Veneto, da Sebastiano e Anna Poletti. La famiglia, friulana e cattolica, non era nobile ma ricca e poté offrigli il sostegno economico fino al conseguimento della laurea.
«Mi affretto di rispondere alla pregiatissima dandole tutte quelle notizie che ho potuto raccogliere ed estendendo un arbore genealogico, volgendo a tale scopo tutti i registri canonici. La famiglia Ellero era ricca, ma non avea né titoli di nobiltà né stemmi. Vi fu peraltro qualche individuo distinto e che godeva fama come per esempio certo Pietro di Domenico, nato li 25 gennaio 1637, nei registri canonici appellato “egregio”, distintivo che non si usa ove si parli di altri individui; così pare un suo pronipote, Francesco di Michele, nato li 6 settembre 1731. Fu pievano (prete, ndr) di Invillino (Villa Santina, Udine, ndr) parrocchia antichissima, e di cui ancora si parla con grande stima.
Oltre a questi due personaggi non saprei parlarle di altri individui che si fossero distinti. Dico solo che qui in Lauco non vi sono più di due famiglie di tal cognome, che sono ristrettissime di mezzi di fortuna.
Dall’arbore che le trasmetto, e dei lumi che le potrà fornire il di Lei padre potrà rilevare a qual ramo Ella appartenga. […] Per quanto ti possa tornar utile, ti do anche la descrizione dello stemma Ellero, veduto da Ruggero Bidasio in Venezia nella bottega di un rigattiere vicino alla Frezzeria: fondo azzurro, fascia rossa, cavallo in piedi col corno diritto in testa, elmo d’acciaio, piume bianche.»
Lettera di Alessandro Ellero a Pietro Ellero nella quale vengono riportare le parole del sacerdote di Lauco, Giovanni Fior (27 giugno 1870)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. I, n. 2

Certificato di nascita (Pordenone, 8 agosto 1855)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. I, n. 1
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Si laureò in legge all’Università di Padova il 23 dicembre; nello stesso anno diede alle stampe la sua tesi di laurea, Della pena capitale, vero e proprio manifesto abolizionista della pena di morte. Questa prima monografia gli costò una imputazione da parte dell’autorità austriaca di «perturbazione della pubblica tranquillità», ma il procedimento venne chiuso «per ossequiata volontà sovrana» l’anno successivo.
Interrogato: Sulle generalità
R.: Sono Pietro fu Sebastiano Ellero, possidente, nato e domiciliato in Pordenone, d’anni 25, celibe, cattolico, laureando in legge, incensurato.
Interrogato: Sul motivo dell’esame
R.: Ritengo per la edizione del mio discorso «Della pena capitale».
Presentatogli il libro trasmesso colla succitata requisitoria, e interrogato analogamente.
R.: Questo è appunto il discorso sopra indicato, edito dalla tipografica del Commercio in Venezia.
Interrogato: Sulla intenzione e sullo scopo della stampa del suddetto opuscolo.
R.: (dettando) Io non ebbi altra mira ed altro scopo fuori che di manifestare il vero, di cooperare alla maggiore perfezione della legge ed al bene dell’umanità. Laonde a meraviglia e rammarico mi sorprendono in vedermi preso forse a sospetto da quelle leggi che ho sempre venerato ed amato.
Dettagli: Potrebbe il suindicato libro venire incriminato di «perturbazione della pubblica tranquillità».
R.: (dettando) Non credo ciò, avvenga che se così fosse, io avrei scritto diversamente, da quello che penso e desidero e voglio.
Soggiuntogli: E questo specialmente per alcuni passi che si riportano, e primariamente gli si fa avvertire che a pagina 9 dell’opuscolo disse: «la ragione ci appalesa la pena di morte inutile, immorale, ingiusta».
R.: (dettando) Lungi dall’obiettare, io ammetto che questo principio: «essere la pena di morte inutile, immorale, ingiusta», fu non solo da me enunciato, ma che anzi esso riassume e compendia ogni mia dottrina intorno alla pena capitale. Se tal principio non si può professare, se professandolo si delinque, io sono certamente reo».
Copia di verbale di interrogatorio (Pordenone, 7 dicembre 1858)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. III, n. 1

Volantino per la seconda edizione dell’opera Della pena capitale
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 23, fasc. 1, n. 1
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Particolare del frontespizio manoscritto dell’opera Della pena capitale, contenuto nella raccolta di manoscritti Trattati criminali (1875).
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 1, fasc. 1, n. 2
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Dopo aver prestato giuramento di fedeltà al re, ottenne la cittadinanza nello Stato sardo, con lo svincolo dalla sudditanza austriaca e l’autorizzazione a emigrare. A dicembre gli fu assegnata la cattedra di Filosofia del diritto presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano e consegnò alle stampe la seconda edizione dell’opera Della pena capitale, che gli procurò il riconoscimento della medaglia d’oro del re di Sardegna.
«L’Eccellenza Imperiale Regia Luogotenenza con ossequiato dispaccio 26 settembre prossimo passato n.° 27564 si compiacque di accordarle lo svincolo dalla sudditanza austriaca, ond’Ella possa legalmente emigrare dagli Stati di Sua Maestà Impero Regio Austriaco.
Ciò Le si comunica a riscontro dell’istanza 17 agosto e Le si rilascia il presente decreto, ond’Ella possa valersene presso le autorità del Paese ove intende fermare la sua stabile dimora. […]».
Svincolo dalla sudditanza austriaca (1 ottobre 1860)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. VI, n. 4

Passaporto del Regno d’Italia (Bologna, 22 aprile 1864)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. VI, n. 9
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Nel 1861 ottenne l’insegnamento come professore straordinario di Diritto penale a Bologna e fondò il «Giornale per l’abolizione della pena di morte», al quale collaborarono numerosi penalisti e pensatori italiani e stranieri, quali Niccolò Tommaseo, Francesco Carrara, Enrico Pessina e Karl Josef Anton Mittermaier.
«Per noi l’abolizione della pena di morte, non è un fatto isolato, non è semplicemente la soddisfazione d’un pio desiderio, non è ispirata dal solo interesse di salvare un reo dal capestro; ma essa è un avvenimento d’assai più alta importanza, ed è ispirato da moventi e da mire ben più eccelse. Noi crediamo che quando gli uomini tutti saran compresi d’orrore per la schifosa danza dello strangolatore e dello strangolato, che quando essi cesseranno per qualsivoglia motivo di scannarsi l’un l’altro, l’umanità abbia progredito d’un passo incommensurabile, e sia dischiuso un avvenire insperato. Non basta diminuire le sanzioni e le esecuzioni capitali; non dovesse giustiziarsi che un sol colpevole sulla terra, ancora perdura un gran misfatto dell’umanità. Ché, quest’omicidio pubblico non ha paragone cogli omicidi privati: questi son opere d’individui rei; quello invece opera di tutta la umanità rea, che lo legittima. Trattasi dunque d’impedire al genere umano questo reato; trattasi di cancellare dalle nostre credenze, dalle nostre usanze, dalle nostre istituzioni la macchia originale che le deturpa, che fuorvia e tormenta le nazioni, che rende impossibili cotanti altri miglioramenti morali e civili. La schiavitù era la violazione d’uno de’ diritti supremi della personalità umana, la libertà; come la pena capitale è la violazione dell’altro supremo diritto, la esistenza.»
P. ELLERO, Programma, in «Giornale per l’Abolizione della pena di morte», 1861, 1, pp. 7-8

Frontespizio del primo fascicolo del «Giornale per l’abolizione della pena di morte» (1861)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 6, fasc. 6, n. 1
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L’obiettivo del «Giornale» sembrava essere stato raggiunto: il 13 marzo del 1865 la Camera dei deputati si espresse in favore dell’abolizione della pena di morte. Tuttavia, il 22 aprile successivo il Senato oppose il suo voto contrario. L’8 maggio, Ellero decise di chiudere la rivista.
«[…] la vittoria si è differita, si è iniziata, ma non si è conseguita; e intanto la sede del re, del parlamento, del governo si trasporta a Firenze col patibolo, a Firenze dove non può funzionare. La mancata unificazione di leggi, l’onta alla moralità pubblica e alla dignità nazionale pel fatto che vi sono italiani soggetti al patibolo e italiani che nol sono, reati puniti diversamente secondo il luogo, un potere che col sangue impera fuori dal suo centro, e quasi un’invasione di barbarie colà donde si doveva difondere la gentilezza, tutto ciò costituisce tale un doloroso contrasto, che piuttosto si può sentire che esprimere.
«[…] e noi avevamo miglior compito di raccogliere suffragii e proteste, di avvincere ai principii per lo mezzo de’ sentimenti, di suscitare un movimento intellettuale intorno all’obbietto che noi prendevamo di mira coordinandolo alle materie affini […]. Di guisa che la giurisprudenza italiana ha si voluto far sapere che la pena di morte non è né idonea, né necessaria; ma principalmente che non è giusta; e in ciò essa fa consistere il proprio orgoglio, in avere tenuto alto il vessillo della giustizia. […]
«Ora i lettori ci possono chiedere, che cosa abbiano ottenuto; alla qual domanda noi rispondiamo: avere contribuito (giaché tutto non ci vogliamo arrogarne il merito) avere contribuito a raccogliere l’attenzione e l’operosità scientifica e qui e fuori sul tema prescelto, e (ciò ch’è più) resa una questione popolare l’antica questione accademica. […]
«Se non che, facile è capire dal fin qui detto che ad una tal opera è ora decretato il fine; e se così è: perché, ci podimandaranno nuovamente i lettori, perché cessate? Avete in ostaggio la vittoria, e nel forte del combattimento vi ritirate?… Agevole è la risposta: come ogni rivoluzione civile e morale prima è opera d’individui, poi opera di masse, la nostra causa è entrata in quella nuova fase, nella quale tutta una moltitudine la accoglie come sua.»
P. ELLERO, Epilogo del giornale per l’abolizione della pena di morte, in «Giornale per l’abolizione della pena di morte», 1865, 12, pp. 408-409; 415-417

Telegramma di Giovanni Maria Damiani a Pietro Ellero con comunicazione dell’avvenuta abolizione della pena di morte da parte della Camera dei deputati (Torino, 13 marzo 1865)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 14, fasc. 9, s.fasc. 2, n. 8
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Dopo una battaglia elettorale che gli procurò non poche delusioni, venne eletto deputato per il collegio di Pordenone, Aviano e Sacile. Il mandato parlamentare fu assai breve, ma fu seguito immediatamente da una seconda elezione per la quale Ellero riconfermò il programma politico dell’anno precedente, giovandosi del pubblico appoggio del generale Garibaldi.
«Chiarissimo signor Direttore del Giornale di Udine
«La preghiamo caldamente a nome nostro e dei colleghi di inserire nel suo giornale l’acchiusa dichiarazione. Non aggiungiamo altro: Ella deve godere di unirsi a noi per difendere un uomo che di difesa non avrebbe dovuto mai abbisognare.
Bologna, 19 novembre 1866
«Sappiamo che in un circolo politico di Udine (Circolo Indipendenza, ndr) un uomo a noi ignoto affermò che Pietro Ellero nostro amico e collega non ha in Bologna buona fama. Ai buoni la malignità dei tristi è onore da vantarsene; e, se quell’accusatore non mentì, ha certo il disonore di cercare nel fango i giudizi e senza prove gettarli in faccia a un galantuomo. Testimoni da parecchi anni della vita operosa negli studi, della lunga lotta per la giustizia, dell’amore intelligente alle cose d’Italia, dell’animo intatto puro generoso di Pietro Ellero, noi della sua amicizia ci onoriamo: e questa voce di uomini onesti potrà forse consolarlo delle vili calunni dette e pazientemente ascoltate nella sua provincia.
Emilio Teza, di Venezia; prof. nella facoltà di lettere.
Giosuè Carducci, di Firenze; prof. nella facoltà di lettere.
Concato Luigi, di Padova; prof. di Clinica medica.
Francesco Magni, di Pistoia; prof. nella facoltà medica.
Eugenio Beltrami, di Cremona; prof. nella facoltà di Matematica.
B. Zavatori, di Revello; prof. nella facoltà di Giurisprudenza.
Boschi Pietro, di Roma; prof. nella facoltà di Matematica.
Ceneri Giuseppe, di Bologna; prof. nella facoltà di Giurisprudenza.
Capellini Giovanni, di Spezia; prof. nella facoltà di Scienze naturali.
A. Montanari, prof. di Filosofia della Storia, Senatore del Regno.»
Dichiarazione di stima a favore di Pietro Ellero (Bologna, 19 novembre 1866), in «Giornale di Udine», 18 nov. 1866
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 19, plico 8, n. 4

Parole del generale Garibaldi ai Pordenonesi, Udine, Tipografia Zavagna, 1867 (volantino con parole di saluto e con un invito a votare Pietro Ellero)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 19, fasc. 8, n. 10
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna
Nel 1868 fondò una nuova rivista: l’«Archivio Giuridico», con la quale si proponeva di contribuire allo sviluppo dei diversi rami del giovanissimo diritto italiano. Nel marzo 1869, tuttavia, ne abbandonò la direzione, a causa della morte della moglie avvenuta dopo appena cinque anni di matrimonio.
«L’Italia, avverando il sospiro de’ secoli, ha quasi compiuto la sua unità ed acquistato la sua indipendenza; ma questa e quella rimarrebbero infruttuose, né si potrebbero preservare, senza tali ordinamenti che diano felicità al popolo e forza al nuovo stato. […]
«Ma niun ente del creato si regge senza ordini; e come potremmo noi custodire e svolgere i nostri beni civili, senza gli ordini civili, e questi scovrire e fondare senza i civili studi? D’uopo è dunque d’un’opera riflessa, severa e solerte per ricostruire la nostra civiltà e la nostra città, e quest’opera dee finalmente cominciare, e dee principalmente sorgere da un grande movimento di pensiero, applicato alle politiche e legali istituzioni. Al quale intento occorre rialzare gli studi, e specialmente gli studi giuridici […].
«Io ho così detta la ragione per cui l’Archivio giuridico viene fondato, e se questa ragione sembra troppo pretensiosa, il desiderio di servire al pubblico bene mercè un tentativo forse audace, ma certo non riprovevole, di far rifiorire il diritto nella culla del diritto, si accolga almeno come una scusa del nascere di quello. Ognuno si adoperi al bene in quella guisa che gli è possibile: anche a me dunque, oscuro cittadino, si consenta nella mia bassa sfera di tentare opera, che vorrebb’ essere un’opera buona, che alle volte può essere giovevole e che per lo meno non sarà mai nociva. […]
«L’Archivio giuridico, come indica il titolo e come queste premesse, è appunto una pubblicazione periodica di scritture originali e inedite, concernenti la legislazione, la giurisprudenza e le materie affini, e in somma tutte quelle che si compendiano nel nome accademico di facoltà giuridica. […] La ragione poc’anzi esposta del nascere di questa impresa parte dalle gravi condizioni della nostra patria, dalle necessità e dai propositi d’una restaurazione giuridica e d’una rigenerazione civile della medesima […].»
P. ELLERO, Manifesto dell’Archivio giuridico, in «Archivio giuridico», I (1868), 1, pp. 3-6

Frontespizio del primo fascicolo dell’«Archivio giuridico»
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 6, fasc. 7, n. 1
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna
In questi anni diede alla luce i suoi principali scritti di argomento penalistico – pubblicati dapprima in rivista e poi riuniti nelle raccolte Scritti criminali (1974) e Trattati criminali (1875) – e saggi di carattere storico e sociologico, tra i quali La questione sociale (1874) e La tirannide borghese (1878), e più tardi La riforma civile (1879). Questi saggi contribuirono alla sua affermazione come penalista anche a livello internazionale.
«Ellero cominciò da giovanotto or son cinque lustri la sua campagna contro le ingiustizie sociali, e il suo primo passo fu una dissertazione contro il patibolo stampata a Venezia, che gli procurò dall’Austria un processo biennale. Per circa quindici anni ha poi continuato a Bologna, ora l’una ora l’altra, a combattere tutte quante le iniquità consacrate, senza mai offendere una sola persona, versando alla stamperia lo stipendio che riscuoteva all’università. – Venne la volta di pubblicare i grossi volumi delle sue tre opere sociali, e (avendo egli dovuto spendere molto innanzi nelle inchieste per anatomizzare la società italiana, ciò che avrebbesi appena potuto fare da un governo) non aveva più mezzi per andare innanzi.
Si rivolse ad uno de’ più ricchi, de’ più istrutti, de’ più liberali, de’ più generosi e de’ più benemeriti cresi d’Italia, e gli offerse in vendita la sua biblioteca in ragione di circa una lira e mezza al volume, affinché ne dotasse qualche pubblico istituto. Egli, che di giunta era suo benevolo, gli rispose esitando, e che tra le altre cose avrebbe occorso prima un inventario o catalogo il quale se si fosse fatto, avrebbe raddoppiato il prezzo di que’ libri anche per un libraio.
Ellero non aveva tempo da perdere: trasse dalle cataste i volumi più rari, e il resto ha venduto a peso di carta o press’a poco: e così la «Questione sociale», la «Tirannide borghese» e la «Riforma» videro la luce.
La quale azione per un uomo di studi è per lo meno equivalente a quella del guerriero che porta la sua corazza in ghetto e si serva la spada, pur di combattere.»
Chi è Pietro Ellero?, in «Barababao», 15 feb. 1883
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 7, fasc. 10, n. 7

Frontespizio manoscritto della raccolta Trattati criminali (1875).
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 1, fasc. 1, n. 2
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna
Dopo ben diciannove anni di insegnamento a Bologna, ottenne il conferimento del titolo di professore emerito. Cominciò per Ellero così una nuova fase della sua vita professionale a Roma: dapprima alla Cassazione e poi al Consiglio di Stato nel 1890.
Bologna, 27 giugno 1880
«Miei cari alunni,
«Mi ha costato tanto dolore il separarmi da voi, che solamente oggi, raccogliendo un po’ le mie forze, trovo modo di rispondere al vostro indirizzo. L’aurea medaglia, di cui mi avete voluto onorare alla mia partenza, è il maggior premio ch’io potessi ricevere delle mie oscure fatiche. Niuno certamente più pregevole per un maestro di quello, che gli viene conferito da’ suoi stessi discepoli, quando ogni motivo di lusingarlo è venuto meno. Io ve ne so tal grado, che non posso esprimerlo: pure, più ancor che di me, godo di voi, che aveste un pensiero così alto e gentile.
«Voi desiderate, ch’io non vi dimentichi mai, quanti in questi vent’anni foste meco; ed io vi prometto, che vi terrò sempre nel mio cuore. Anzi, poiché (spezzata la mia rugginosa lancia di scrittore) altro la patria non vuole da me; io guarderò con amorosa ansia i passi, che farete voi nella palestra civile. Godrò di sapervi tutti, probi uomini e forti cittadini; ed esulterò, se alcun di voi potrà risplendere coll’ingegno, e sopra tutto colla virtù. Al quale uopo abbiate a mente, che nell’annegazione (abnegazione, ndr) e nel carattere troverete le armi per vincere, e nelle giuste cause gli auspicii della vittoria.
«Invece di contaminare la anime vostre colla cupidigia o colla viltà, voi avete le due più giuste cause del genere umano da sostenere. L’una la gloria d’Italia, il cui luminoso astro, già spuntato sull’orizzonte, ha da risalire molto più sublime, e da irradiare una quarta civiltà nel mondo. L’altra la ragione del popolo, di cui tutti siam figli, ne’ cui palpiti generosi, nel cui buon senso, nella cui temperanza e rettitudine miglioreremo e rinfrancheremo noi stessi. Eccovi adunque l’ultima mia raccomandazione e l’ultimo mio saluto: siate per tutta la vita leali osservatori della legge, fedeli servitori della nazione e valorosi campioni della giustizia».
Risposta del prof. Ellero agli studenti bolognesi, in «La Patria», 27 giu. 1880
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 13, fasc. 6, s.fasc. 1, n. 1
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna

Busto di Pietro Ellero (1928) in via Zamboni, 33, Palazzo Poggi
Anche se la sua carriera politica fu breve e tormentata, non rimase lontano dal Parlamento a lungo: nel gennaio 1889 venne nominato Senatore del Regno.
Fu l’anno della promulgazione del nuovo Codice penale, comunemente noto come Codice Zanardelli, alla cui stesura Ellero partecipò attivamente. Tra le novità più rilevanti apportate al sistema della giustizia penale, vi fu l’abolizione dell’istituto della pena capitale.
Mio dolce figlio,
lo scritto tuo di ieri non lascia tempo certamene ch’io qual pienna sempre di conforti per parte tua, che sinno dalla tenera tua età eri a me affezionatto; con modi i piu gentilli ed’ amorosi, che non compiti neppur 8 anni notrivi sentimenti al mio conforto, che mi commoveva. La volia tua di istruirti nelle cose ancora prima de secolli era il magior tuo piacere. La Storia Romana ed in questa perseverare erra il tuo sogno. Ecco avveratte le impossibili cose a succedersi: l’animo mio ratristato pensando ad un impiego si alto è di tale importanza puoi bene conoscere, che oltre che modeste devo, essere ansi umili nelle visite che ricevo di immensa rallegram[en]to per si Onorevole successo. Furrono a me presso persone oltre, che gloriose per averti sempre stimato. I parenti di varie condizioni non esclusi i fratelli Parpinelli e sue signore ed’ altri, non escluso mia Sorella, che fù questa matinna appositamente. Questa si ritrova in Torre, mal concia sì ma in casa sua. Io la aiuto spesso. Pietro Poletti col mio mezzo tante affettuose cose il sollo che godde ciò che mi facesti tenere di bello e di buono. Vorei più a lungo con voi trattenermi ma il tempo mi manca.
Per intanto abbiattemi con immenso rallegramento ed’ abbracciandoti con la nostra Alma passo ad’ esservi
Aff[ettuosissi]ma Obbligatissima
Anna Poletti Ellero
Lettera di Anna Poletti Ellero a Pietro Ellero (Pordenone, 6 febbraio 1889)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 15, fasc. 7, s.fasc. 2, n. 12

Cartolina postale indirizzata al senatore Pietro Ellero
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 12, fasc. IX, n. 8
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna
Morì a Roma il 10 febbraio 1933, all’età di novantanove anni, ricevendo i funerali di Stato.
«Nella mia vita pubblica, sebbene intemerata, deploro di non aver saputo fare quanto avrei dovuto e desiderato: nelle opere da me pubblicate, non ostanti i facili cuori, nulla ho a rimproverarmi, poiché ispirate dal più puro amore della verità, della giustizia, della patria e di tutto il mio prossimo.
Confermo alla mia nazione l’augurio, nelle medesime enunciato, di riprendere, mal grado ogni incombente e transeunte avversità, la sua storia gloriosa, ed (armandosi di fortezza in guerra e di altre virtù per la pace) di riassumere l’inalienabile e sublime suo magistero di civiltà a beneficio del genere umano.
E così, prendendo io congedo da’ miei cari ed ora per allora mandando a loro il saluto della dipartita, io gli auguro lieti e felici, e gli esorto a non piangermi e a non funestarsi mai con la mia memoria; bensì a serbarla sempre come una perenne e consolante benedizione.».
Testamento olografo di Pietro Ellero (15 marzo 1916)
Biblioteca Universitaria di Bologna, Pietro Ellero (ms. 4208), b. 25, fasc. C, n. 1

Testamento olografo di Pietro Ellero (15 marzo 1916)
Archivio notarile distrettuale di Roma, Notaio Rinaldi Ulisse, repertorio 131814, raccolta 19869 (verbale di pubblicazione del 09 febbraio 1933)






