Archivi e biblioteche dei penalisti italiani

Amari Emerico

Palermo 1810 maggio 10 - Palermo 1870 febbraio 21

Professioni, titoli, qualifiche:

  • avvocato
  • giornalista
  • docente universitario
  • politico

Intestazioni:

  • Amari, Emerico, avvocato, giornalista, docente universitario, politico, (Palermo 1810 - Palermo 1870), SIUSA

Descrizione:

Emerico Amari nacque a Palermo, il 10 maggio 1810, da Mariano Salvatore, dei conti di Sant’Adriano, e da Rosalia, dei marchesi Bajardi. A seguito della laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, praticò per brevissimo tempo la professione di avvocato, per poi dedicarsi interamente agli studi, per i quali si sentiva naturalmente portato. Si rese, invero, autore di innumerevoli pubblicazioni su tematiche eterogenee. Collaborò con il “Giornale di statistica”, periodico del 1835, per il quale scrisse diversi saggi di argomento giuridico ed economico. Riscosse peculiare successo il saggio “Difetti e riforme delle statistiche dei delitti e delle pene”, ivi pubblicato, il quale conobbe le lodi di Karl Joseph Anton Mittermaier nei suoi “Italienische Zustände” (Heidelberg 1844). Il Nostro fece, inoltre, parte dell’Istituto di incoraggiamento di agricoltura, arti e manifatture in Sicilia, fondato il 9 novembre 1831.
Nel 1841 fu nominato alla cattedra di Diritto penale presso l’Università di Palermo, ove ispirò l’insegnamento allo spirito liberale. Particolarmente significativa fu una sua lezione contro la pena di morte tenuta nel dicembre 1842, la quale attirò l’attenzione della polizia borbonica. Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1848, fu arrestato – probabilmente per i suoi legami con il partito costituzionale –, insieme con Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez e altri esponenti liberali. Venne scarcerato poco dopo, complice la vittoria popolare.
Si rese attivo nel comitato rivoluzionario di Palermo e, in quel contesto, propugnò l’idea del ripristino della costituzione siciliana del 1812, benché riformata e adattata alle nuove esigenze. Fu eletto deputato al parlamento dell’isola per l’Università di Palermo e per il collegio di Salemi, preferendo il secondo. Inoltre, fu eletto vicepresidente della Camera dei Comuni il 25 marzo e, il giorno seguente, venne chiamato alla presidenza della Commissione per il regolamento del potere esecutivo.
Significativo è l’incarico che fu impartito al Nostro, a Giuseppe La Farina e al barone Casimiro Pisani, di recarsi in missione a Roma, Firenze e Torino al fine di ottenere il riconoscimento del nuovo governo siciliano, l’ammissione dell’isola nella lega italiana e l’interposizione dei loro buoni uffici a Napoli per far cessare le ostilità. La missione romana fu connotata da ostilità evidenti, stante l’atteggiamento di Pio IX reso noto nella allocuzione del 29 aprile. L’Amari si diresse, dunque, a Torino, ove rimase fino all’anno successivo. Ivi non riuscì a persuadere il duca di Genova ad assumere il trono siciliano offertogli dal parlamento dell’isola nel luglio 1848.
Di poi, tornò a Palermo per breve tempo, considerato che fece parte dei 43 patrioti espressamente esclusi dall’amnistia concessa da Carlo Filangieri a valle della vittoria definitiva. Il Nostro s’imbarcò, dunque, su una nave inglese per Malta e passò esule a Genova, ove gli fu assegnata la cattedra di Diritto costituzionale. A Genova, nel 1857, scrisse una delle sue opere più importanti, “Critica di una scienza delle legislazioni comparate”. Collaborò con l’“Economista” di Torino, sul quale proseguì la sua battaglia in favore del liberismo.
Nel dicembre 1859 fu nominato professore di Filosofia della storia presso l’Istituto di studi superiori di Firenze. Ivi, il 24 marzo dell’anno seguente, tenne la prolusione “Del concetto generale e dei comuni principi della filosofia della storia”.
Tornò in Sicilia il 17 agosto 1860, richiamato dal successo della spedizione garibaldina dei Mille. Il Nostro rifiutò la nomina a vicepresidente del Consiglio straordinario di stato, istituito dal prodittatore Antonio Mordini con l’incarico di “studiare ed esporre al Governo quegli ordini e quelle istituzioni atte a conciliare i bisogni particolari della Sicilia con quelle generali dell’unità e prosperità della nazione italiana”. Rifiutò, altresì, la nomina a consigliere ordinario di stato e presidente del Consiglio superiore di istruzione pubblica di Sicilia, stante la non condivisione dell’indirizzo politico dominante.
Nel gennaio 1861 assunse il dicastero dell’Interno, ma si dimise alla fine del mese. Nel 1861 fu eletto alla Camera per il collegio di Palermo e prese parte a vari dibattiti, tuttavia, nel 1862, rinunciò al mandato a causa di una grave malattia del figlio, che, dopo poco, morì. Fu nuovamente eletto, nel 1867, a Palermo e in quell’occasione sostenne il disegno di legge governativo sulla soppressione delle corporazioni religiose e la liquidazione dell’asse ecclesiastico. Di poi, rinunciò nuovamente al mandato parlamentare.
Morì a Palermo il 21 febbraio 1870.
Complessi archivistici:
Redazione e revisione:
  • Nicolò Giorgia, 2025/07/02, prima redazione

Bibliografia:
  • A. AQUARONE, Amari Emerico, in Dizionario biografico degli italiani, XIV, Roma: Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, pp. 634-636.
  • M.A. BENEDETTO, Amari Emerico, in Novissimo Digesto italiano, I.1, Torino: UTET, 1957, pp. 532-533.
  • G.A. SINICROPI, Scienza e storicismo in Emerico Amari, «Historica», III (1950), 1, pp. 18-22.
  • B. CROCE, Bibliografia vichiana accresciuta e rielaborata da F. NICOLINI, I, Napoli: Ricciardi, 1947, p. 443.
  • G. ERRERA, Amari Emerico, in Enciclopedia italiana, II, Roma: Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1929, p. 757.